Le citazioni latine sono spesso usate come sfoggio di erudizione e di cultura. Per questo suscitano da una parte curiosità, dall’altra irritazione in chi non le conosce. Do ut des («do perché tu mi dia»), excusatio non petita accusatio manifesta («una scusa non richiesta equivale a una accusa evidente»), per esempio, sono formule giuridiche latine abbreviate, accolte nell’italiano come modi di dire e usate frequentemente.

Altre espressioni latine hanno assunto addirittura una veste commerciale. Mens sana in corpore sano («mente sana in corpo sano»), per esempio, è usata come slogan da molte palestre e centri sportivi. Tuttavia, è stata sicuramente l’espressione oraziana carpe diem («cogli l’attimo») a conquistare maggiore popolarità, continuando ad ammaliare molti.

Entrando nel linguaggio quotidiano, molte espressioni latine hanno perso però il rapporto con la fonte da cui derivano. Ecco qui di seguito alcune espressioni latine famose, con il testo originale da cui sono tratte. Una volta compresa la loro origine, il loro significato sarà sicuramente più affascinante!

Ad Kalendas Graecas («Alle Calende greche»)

L’espressione latina equivale all’italiano «mai». Nel calendario greco, infatti, non esiste le calende, primo giorno di ciascun mese del calendario romano. La locuzione è attribuita da Svetonio (Augusto 87) all’imperatore Augusto, che usava tale modo di dire per indicare le persone che non intendevano pagare i debiti. Il testo di Svetonio recita:

Le sue lettere autografe (di Augusto) mostrano che nella conversazione quotidiana impiegava spesso espressioni curiose, come quando, per indicare i debitori che non avrebbero mai pagato, disse che «avrebbero saldato il conto alle calende greche».

Alea iacta est («Il dato è tratto»)

Secondo Svetonio (De vita Caesarum), Giulio Cesare pronunciò tale espressione prima di attraversare il Rubicone con i suoi soldati alla volta di Roma, violando la legge che proibiva l’ingresso in armi dentro i confini dell’Italia e dando così il via alla seconda guerra civile. Questa frase è usata in italiano quando si prende una decisione per la quale non si può più tornare indietro e dalla quale non si può più recedere. Il testo di Svetonio è il seguente:

Cesare raggiunte le coorti presso il fiume Rubicone, che segnava il confine della provincia, si fermò e, riflettendo su quando si apprestava a compiere, disse a coloro che gli erano vicini: “potremmo ancora ritirarci, ma se attraverseremo questo ponticello, tutto dovrà essere fatto da noi con le armi”. Mentre esitava, accadde un prodigio. All’improvviso, apparve un essere straordinario per bellezza e grandezza, seduto su un sasso vicino e intento a suonare un flauto. Molti si erano avvicinati per ascoltarlo: molti pastori, molti soldati allontanatisi dai posti di guardia e molti trombettieri.  Presa da uno la tromba, balzò nel fiume e, intonando uno squillo di tromba a pieni polmoni, si diresse all’altra riva. Allora Cesare disse: «si vada dove i prodigi degli dei e la malvagità dei nemici ci chiamano. Il dado è tratto», concluse.

Aurea mediocritas («Un’aurea mediocrità»)

L’espressione indica un’ottima condizione intermedia, un’aurea via di mezzo. Compare nell’Ode 2, 10, 5 di Orazio. In latino, il termine mediocritas non ha valore negativo, ma elogia la moderazione e il giusto mezzo tra gli eccessi. Orazio invita a tenersi lontani dagli eccessi, e tale concezione deriva dalla filosofia epicurea, che esorta l’uomo a godere del semplice della vita, senza abusare dei piaceri. Il raggiungimento della giusta misura è il fine ideale dell’uomo. Queste le parole di Orazio:

O Licinio, vivrai meglio,

non spingendoti sempre in alto mare né,

mentre cauto temi le tempeste,

rasentando troppo la spiaggia insidiosa.

Chiunque ama l’aurea via di mezzo,

sicuro sta lontano dallo squallore d’una casa troppo vecchia,

sobrio sta lontano da una reggia oggetto d’invidia.

Un alto pino è più spesso scosso dai venti

e le alte torri cadono con crollo più rovinoso

e i fulmini colpiscono le cime dei monti.

Un cuore ben preparato spera una sorte diversa

nelle situazioni ostili e la teme nei momenti lieti.

Giove porta gli aspri inverni ed egli li ricaccia.

Se ora va male, non sarà così anche in futuro:

a volte Apollo con la cetra risveglia la Musa che tace né sempre tende l’arco.

Nei momenti difficili appari coraggioso e forte;

con eguale saggezza abbassa le vele gonfie quando il vento

è troppo favorevole.

Parcere subiectis, debellare superbos («Risparmiare i vinti, sconfiggere i superbi»)

L’espressione è tratta dal VI libro dell’Eneide di Virgilio (v. 853). Enea scende nel regno dell’Aldilà accompagnato dalla Sibilla. Dopo aver incontrato le anime dei molti troiani caduti in guerra, e dopo il gelido incontro con Didone tra i suicidi per amore, Enea si imbatte nell’anima del padre Anchise. Quest’ultimo mostra a Enea le ombre dei grandi personaggi romani che renderanno gloria alla città che l’eroe troiano si appresta a fondare con la propria discendenza (Roma, appunto). Molti popoli – sostiene Anchise- si distingueranno e otterranno gloria nelle arti e nelle scienze; i romani, invece, domineranno il mondo con la sapienza delle leggi, concedendo perdono ai vinti e uccidendo chi si opporrà.

Altri foggeranno più elegantemente statue di bronzo che sembrano vive (lo credo davvero), scolpiranno nel marmo volti che sembrano vivi, patrocineranno meglio le cause e descriveranno col compasso le vie del cielo e prediranno il corso degli astri: tu, o Romano, ricordati di governare col tuo imperio i popoli (queste saranno le tue arti) e di dettare le condizioni di pace, risparmiare chi si sottomette e debellare i superbi.

Homo homini lupus («L’uomo è lupo per l’altro uomo»)

La frase è un’amara riflessione sull’egoismo umano e sulla violenza degli esseri umani tra di loro. L’espressione è tratta originariamente, con alcuni cambiamenti, dall’Asinaria (II 4, 88) di Plauto. La citazione, infatti, è la seguente: lupus est homo homini, non homo, quom qualis sit non novit («un uomo per un altro uomo è un lupo, non un uomo, quando l’uno non conosce quale sia il carattere dell’altro»). Il testo della commedia, lacunoso, ha reso difficile la ricostruzione precisa della trama. Secondo gli elementi caratteristici della commedia nuova, l’amore di un giovane innamorato (Argirippo) per una giovane cortigiana (Filènia) è contrastato da un antagonista. Tuttavia, due servi astuti aiuteranno il protagonista a ottenere l’amata. La citazione è ripresa da Thomas Hobbes, filosofo inglese del XVII secolo, per descrivere la condizione dell’uomo nello stato di natura, prima della formulazione delle leggi e dello stato che regolano i rapporti tra gli uomini, eliminandone gli istinti egoistici e violenti contro i propri simili.