simone-de-beauvoirNel gennaio del 1908, cento e otto anni fa, nasceva Simone de Beauvoir: la ragazza per bene che siamo abituati a vedere ritratta con acconciature anni cinquanta e splendidi orecchini ai tavolini del Flore, del Dôme o de Les Deux Magots, i caffè più frequentati dagli intellettuali di Parigi; la donna che donna non si nasce, ma si diventa; la scrittrice che instancabilmente passava le sue giornate, quando non insegnava, al tavolino di un caffè o di un ristorante, lavorando per sei o sette ore di fila sui suoi manoscritti; la compagna di Sartre in un rapporto tra affinità elettive che oggi, in un presente in cui i confini non sono che linee tracciate per essere attraversate, farebbe impallidire chiunque – non tanto per il concetto di libertà che tentava di incarnare, quanto per la sua inossidabile durevolezza.

In effetti, nonostante i numerosi amanti e le storie d’amore vere e proprie (come quella di Simone con lo scrittore americano Nelson Algren), Sartre e de Beauvoir non si sono mai lasciati. Sono rimasti fianco a fianco, per tutta la vita (Per comprendere il particolare legame tra la scrittrice e il filosofo, un’ottima lettura è Simone de Beauvoir svelata dalle lettere a Sartre soldato, a cura di Ida Savarino, 1995, Vallecchi Editore). E non è questa l’unica particolarità che fa della vita di de Beauvoir qualcosa di estremamente autentico e concreto, a dispetto di ogni patina di romanzo.

Dall’uscita per Gallimard, nel 1966, di Les belles images (Le belle immagini, Einaudi 1968), invece, di anni ne sono passati cinquanta. Non il suo libro più famoso, forse, ma un’opera per tanti aspetti di sconvolgente attualità.

Che cosa sono le belle immagini per Simone de Beauvoir? Sono quelle create per lavoro da Laurence: pubblicitaria, madre di due bambine, giovane moglie, amante di un altro uomo. Anche ciascuno di questi ruoli, per lei che come Mida sente di trasformare in immagini tutto ciò che tocca, diventa inesorabilmente rappresentazione, recita, parte da incarnare nel modo più convincente possibile di fronte a quel pubblico invisibile che lei crede composto da tutti coloro che la circondano e a cui tiene – l’amato padre, la narcisistica madre, la sorella devota, il marito.

Ma il pubblico di Laurence è e rimane composto solo da lei stessa. Il gioco di specchi costruito da de Beauvoir è sapiente e si muove su due piani: quello narrativo (con il continuo passaggio dalla prima alla terza persona, come se Laurence fosse contemporaneamente narratrice e oggetto di narrazione da parte di qualcun altro), e quello concreto che fa parte della storia. Gli specchi in cui si imbatte Laurence sono oggetti materiali che riflettono, per brevi attimi, tutte le immagini che lei stessa proietta nel mondo. Sono brevi attimi di consapevolezza per Laurence che, infine, è incapace di sentirsi niente più che un’immagine perfettamente modellata dalla madre e dalla società tutta – quella che le chiede di continuo di essere quello che spesso non è pronta, o non vuole essere.

Di fronte a queste pagine, di fronte alla voce e allo stile di Simone de Beauvoir, così limpido e vero e inconfondibile, viene da chiedersi cosa sia realmente mutato dagli anni Sessanta a ora. Tante cose, certo, ma non tutto. Chi, di noi, uomo o donna, non si è mai sentita messa all’angolo, incapace di reagire o di prendere posizione per non contrariare gli altri, per non sentirsi troppo diversa, emarginata? Chi non ha provato orrore scoprendo dentro di sé un’involontaria spinta al conformismo insita nelle tante immagini che abitano la nostra vita mentale?

Fa bene poterlo ammettere. Fa bene vedersi ancora un po’ con gli occhi di Laurence. Perché si smetta, infine, di illudersi che esistano facili soluzioni a problemi complessi, o che la strada da fare non sia ancora lunga.

Autore: Simone de Beauvoir
Titolo: Le belle immagini
Titolo originale: Les belles images
Traduzione: Clara Lusignoli
Editore: Einaudi
Anno: 1968