Abbiamo incontrato la scrittrice Alessandra Sarchi durante le presentazioni del Premio Campiello 2017, in quanto finalista con il suo libro “La notte ha la mia voce” (Einaudi). Ecco cosa ci ha raccontato riguardo i suoi libri preferiti.
A Venezia ci dicesti che “Alla ricerca del tempo perduto” di Marcel Proust è il tuo libro preferito. Ce ne sono altri?
Chiedere a uno scrittore quali sono i suoi libri preferiti è un po’ come chiedere a un goloso di scegliere fra una torta alla panna e una al cioccolato, ma ci proverò. Tra gli scrittori italiani amo molto Moravia, Elsa Morante, Paolo volponi e Gianni Celati. Sono state letture fondamentali e meravigliose quelle che negli ultimi anni mi hanno portato a scoprire due scrittrici canadesi: Alice Munro, vincitrice del premio Nobel, e Margaret Atwood. Di entrambe ammiro la capacità di entrare nelle pieghe della vita quotidiana e di raccontarla dal punto di vista femminile, ossia indagando i ruoli che la diversità di genere e la cultura patriarcale hanno imposto. Un libro difficile ma che trovo molto affine alla mia sensibilità è “La passione G.H.” di Clarice Lispector. Un libro che ho riletto molte volte, per la sua incantata bellezza, è “Ada” di Nabokov.
Oltre ai libri che hai citato, c’è un romanzo che avresti voluto scrivere tu? Perché?
Ogni scrittore si augura sempre di avere un bellissimo romanzo ancora da scrivere, anche, e proprio, perché non sa quale sarà.
Avrei voluto scrivere “Ada” di Nabokov, perché è un racconto dove indagine psicologica e incanto della parola raggiungono un raro connubio. Poteva essere un libro morboso, visto che racconta di rapporti incestuosi, fra cugini e fratello e sorella, ma la lingua di Nabokov riscatta con la sua vitalissima sensualità, con la sua precisione descrittiva e percettiva, il mondo dalla prigionia della sua insignificanza e della sua miseria.
Il personaggio letterario in cui, finora, ti sei riconosciuta maggiormente.
Siccome soffro fin da piccola di insonnia m’identifico molto con il piccolo protagonista dei primi libri de “La recherche”. Conosco l’ansia per un bacio notturno che non arriva, il contare i minuti e le ore mentre i pensieri si dilatano a dismisura nella testa e dentro una stanza. Ma c’è un altro personaggio con il quale ho scoperto una grande affinità: Hector Mann, il divo di cinema muto che sta al centro de “Il libro delle illusioni” di Paul Auster. Hector in una notte molto solitaria e triste, passeggia solo al chiaro di luna, per terra fra l’erba, vede luccicare qualcosa, all’inizio pensa che sia un diamante, poi si accorge che è poco più di uno sputo. È una bella metafora dell’immaginazione, dell’incredibile risorsa che rappresenta e dell’inevitabile delusione a cui va incontro chi ne vive.
Quello che vorresti incontrare, se fosse possibile? Chissà se ti sei mai innamorata di un “personaggio di carta”…
A dire il vero mi sono innamorata molte volte di personaggi di carta. Uno su tutto il tenebroso Mr. Rochester di “Jane Eyre”. Ma sono le eroine che vorrei incontrare. Anna Karenina, ad esempio, prima che si butti sotto un treno, e Madame Bovary per dirle che la crudele agonia cui la sottopone il suo autore non è affatto commisurata ai suoi peccati, quanto al bisogno di rendersi immortale di Flaubert. Farei più o meno lo stesso discorso alla Laura di Petrarca e alla Beatrice di Dante: ragazze raccontatemi come vivevate, prima che un poeta vi imbalsamasse per rendere eterna la propria poesia, con la vostra morte.
Come scegli le tue letture di solito?
Io sono convinta che siano i libri a cercarci. Mi è sempre successo: mi basta esprimere un desiderio o formulare una domanda e quasi sempre la risposta arriva con un libro. Ma a parte questo sistema rabdomantico faccio tutto quello che fanno normalmente i lettori: guardo le novità delle case editrici, mi informo in rete e sulle pagine culturali dei giornali. Passo del tempo in biblioteca e in libreria.
Sicuramente hai letto libri di autori stranieri nella loro lingua originale, avendo vissuto all’estero. Ora che sei in Italia?
Continuo a farlo, leggo il più possibile in francese e in inglese, che sono le due lingue che conosco meglio.
Una cosa “bizzarra” che ti è capitata nella tua esperienza di scrittrice.
Forse la cosa bizzarra è che alcuni lettori si immedesimino a tal punto da essersi convinti di essere questo o quel personaggio di un mio romanzo e così, talvolta, mi chiedono di allargarne la vita romanzesca o, peggio, di averne riscontri con la realtà.
Che rapporti hai con la “tecnologia letteraria”? E-Reader, Goodreads, Wattpad…
Uso con regolarità un e-reader, molto comodo per leggere mentre viaggio e scaricare i libri in lingua originale. Non vado molto oltre questo.
Leggo che sei nata a Brescello: non si può non chiederti di Don Camillo e Peppone!
A Brescello sono nata per caso, il ginecologo che seguiva mia madre le consigliò quell’ospedale anziché quello di Reggio Emilia che forse era più affollato. Sta di fatto che essere nata sul Po è una cosa che mi fa piacere, amo molto il fiume e le sue storie.
Domanda finale di rito: qual è il libro sul tuo comodino attualmente?
“Con molta cura” di Severino Cesari, il mio direttore di collana a Stile Libero da poco mancato; è il diario prezioso dei suoi ultimi due anni di vita. Un dono che ha fatto, della sua grandissima umanità, della sua rara capacità di mettere in connessione le cose apparentemente più lontane, a tutti coloro che l’hanno conosciuto e soprattutto a chi non lo ha mai incontrato ma si è ritrovato nel racconto che su Facebook Severino faceva della propria vita, della malattia e della cura.