Referendum inglese ed elezioni presidenziali americane hanno trainato la popolarità dell’aggettivo secondo cui i fatti contano meno delle opinioni.

Ogni anno dal 2004 gli Oxford Dictionaries eleggono una parola o un’espressione emblematica del nostro tempo, e quella per il 2016 è “post-truth“, un aggettivo definito come “relativo a circostanze in cui i fatti oggettivi sono meno influenti nel formare l’opinione pubblica del ricorso alle emozioni e alle credenziali personali”.

La parola è entrata in vigore negli ultimi dieci anni ma soltanto in quest’ultimo secondo i linguisti ha avuto un picco di frequenza aumentando del 2000 per cento rispetto al 2015 soprattutto nel contesto delle elezioni in America e del referendum nel Regno Unito, trovandosi in particolare associato all’espressione post-truth politics.

Un enorme programma di ricerca della lingua identifica e raccoglie ogni mese da giornali, libri, blog, persino social network parole nuove ed emergenti e poi un sofisticato software permette ad esperti lessicografi di condurre un esame su quelle più affermate, tracciando il loro cambiamento di significato ed uso a seconda del tempo e delle circostanze.

Post-truth in questa esamina ha dimostrato di aver avuto negli ultimi dodici mesi un forte impatto sulle coscienze nazionali e internazionali, e il prefisso “post” più che riferirsi al tempo successivo ad un evento ha assunto il significato di appartenenza ad un tempo in cui il concetto specificato (in questo caso truth) è diventato poco rilevante o del tutto irrilevante.

Il termine segnala anche la crescente diffusione di espressioni con il prefisso “post” seguito dal trattino.

Secondo i ricercatori del dizionario anglosassone, la parola è stata usata per la prima volta nel 1992 in un saggio del drammaturgo serbo-americano Steve Tesich per il giornale statunitense The Nation, in quella circostanza intesa però come “dopo che è emersa la verità”, non nel senso attuale di “indifferenza alla verità”, mentre nel 2005 il comico americano Stephen Colbert ha usato il termine “truthiness” col significato di “sembrar vero, anche non essendolo necessariamente”, molto simile quindi a quello di post-truth.

Nella rosa dei candidati figuravano anche le parole Brexiteer, woke, adulting, alt-right, glass cliff, hygge, chatbot, coulrophobia, Latinx.