Le figure della mitologia greca e latina sono molteplici: tutte affascinanti e intriganti nelle loro vicende. Alcuni nomi sono più famosi, altri meno. Le loro storie sono varie e cambiano nel corso del tempo e secondo l’interpretazione che ne dà ogni autore antico. Al giorno d’oggi, spesso e purtroppo, tali figure sono solo dei nomi, molte volte citati e spesso ignorati. Continuano però a esercitare un’attrazione irrinunciabile.

Per chi non l’ha mai sentita nominare, per chi è solo un “nome” ma non ne conosce la vicenda, per chi già conosce la storia ma non è mai sazio, vi presento oggi il mito del ratto di Proserpina raccontato da Ovidio nelle Metamorfosi (libro V, vv. 341-437).


Proserpina era lì nel bosco che giocava e coglieva viole e candidi gigli e con fanciullesco impegno ne riempiva canestri e il grembo della veste, sforzandosi di raccoglierne più delle compagne. Quand’ecco fu vista e in un sol colpo amata e rapita da Dite: tanto fulminea fu l’azione dell’amore.

Con queste parole ai vv. 391-396 Ovidio descrive l’innamoramento e il rapimento di Proserpina da parte di Plutone. Proserpina (in greco Persefone o Kore) è una delle molte figure che popolano il mondo mitico. Figlia di Giove (in greco Zeus) e di Cerere (in greco Demetra), dea della fertilità e dell’agricoltura, un giorno Proserpina fu rapida da Ade mentre coglieva fiori nella piana di Enna, in Sicilia, e fu condotta nell’Oltretomba, di cui divenne regina. Nell’Iliade e nell’Odissea Omero descrive infatti Persefone come moglie di Ade e regina impietosa ed esecrabile.

Plutone compie il ratto spinto da una freccia di Cupido scoccata per volontà della madre Venere, indispettita dalla verginità di Proserpina (vv. 379-384).

Alle parole di Venere, Cupido aprì la faretra e, assecondando il volere della madre, tra le mille frecce ne scelse una speciale, quella con la punta più acuta, la più sicura e docile all’arco: piegando il ginocchio, curvò le corna flessibili dello strumento e scagliò la freccia uncinata nel cuore di Dite.

Atterrita, Proserpina cerca l’aiuto della madre, invocandola e chiamandola con voce angosciata. Il rapitore intanto sprona i cavalli e, giunto presso un tratto di mare tra due sorgenti, squarcia la terra con lo scettro regale, aprendo un varco verso il Tartaro.

Intanto Cerere, ormai disperata, cerca la figlia in ogni angolo della terra (vv. 440-441; 462-463).

Né l’Aurora, sorgendo coi capelli stillanti di rugiada, né il Vespro la videro concedersi un attimo di riposo. […] Sarebbe troppo lungo enumerare le terre e i mari che furono oggetto delle peregrinazioni della dea: il mondo era finito, ma lei cercava ancora.

Scoperto l’accaduto, Cerere distrugge i raccolti e gli aratri, minacciando la fertilità della Sicilia, in cui aveva trovato le tracce del rapimento. Adirata, si reca da Giove e supplica la restituzione della figlia: Proserpina potrà tornare sulla terra a patto che non abbia mangiato alcun cibo nell’Oltretomba. La fanciulla, tuttavia, aveva violato il digiuno: aveva infatti sgranocchiato sette grani di una rossa melagrana.

Giove divide allora in due parti uguali il corso dell’anno: Proserpina trascorre sei mesi dell’anno (autunno e inverno) nell’Oltretomba in compagnia del marito; gli altri sei mesi (primavera ed estate) li passa nel mondo dei vivi, in compagnia della madre e facendo rifiorire la terra al suo passaggio.

Le favole antiche rappresentano un modo particolare e sicuramente originale con cui l’uomo antico si è approcciato al mondo, ponendosi delle domande di fronte ai misteri della natura e trovando delle risposte in forma di storia: i miti.


Oltre ai molti significati che si possono ritrovare, il mito di Proserpina racconta in modo ammaliante e seducente l’alternanza delle stagioni dell’anno. Ogni primavera, Proserpina fugge dall’Oltretomba e torna sulla terra, per poi rifugiarsi tra le ombre al momento della semina.

La traduzione italiana dei passi riportati è di G. Faranda Villa, tratta da: Ovidio, Le metamorfosi. Volume primo (libri I-VIII), con intr. di G. Rosati, trad. di G. Faranda Villa e note di R. Corti, Milano: Bur 2010.

Immagine di copertina: Persefone, dipinto di Dante Gabriel Rossetti, 1874, Tate Britain.